У нас вы можете посмотреть бесплатно Salvatore Genova, così torturavamo i brigatisti - Il "pentito" ex questore di polizia a L' Espresso или скачать в максимальном доступном качестве, которое было загружено на ютуб. Для скачивания выберите вариант из формы ниже:
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http://goo.gl/Uq4rDo L'ex commissario di polizia Savatore Genova conferma tutto: 'Ero tra i responsabili, e ricevemmo il via libera per botte e sevizie" Storia delle torture subite da molti terroristi tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Nessuna condanna definitiva, nessuna responsabilità gerarchico-amministrativa, nessuna responsabilità politica. Oggi Salvatore Genova non ci sta più. Ecco il suo racconto. "Questura di Verona, dicembre 1981. Il prefetto Gaspare De Francisci, capo della struttura di intelligence del Viminale (Ucigos) convoca Umberto Improta, Salvatore Genova, Oscar Fioriolli e Luciano De Gregori. È la squadra messa in campo dal ministero dell'Interno (guidato dal democristiano Virginio Rognoni) per cercare di risolvere il caso Dozier. Il capo dell'Ucigos, De Francisci, ci dice che l'indagine è delicata e importante, dobbiamo fare bella figura. E ci dà il via libera a usare le maniere forti per risolvere il sequestro. Ci guarda uno a uno e con la mano destra indica verso l'alto, ordini che vengono dall'alto, dice, quindi non preoccupatevi, se restate con la camicia impigliata da qualche parte, sarete coperti, faremo quadrato. Improta fa sì con la testa e dice che si può stare tranquilli, che per noi garantisce lui. Il messaggio è chiaro e dopo la riunione cerchiamo di metterlo ulteriormente a fuoco. Fino a dove arriverà la copertura? Fino a dove possiamo spingerci? Dobbiamo evitare ferite gravi e morti, questo ci diciamo tra di noi funzionari. E far male agli arrestati senza lasciare il segno. Il giorno dopo, a una riunione più allargata, partecipa anche un funzionario che tutti noi conosciamo di nome e di fama e che in quell'occasione ci viene presentato. È Nicola Ciocia, primo dirigente, capo della cosiddetta squadretta dei quattro dell'Ave Maria come li chiamiamo noi. Sono gli specialisti dell'interrogatorio duro, dell'acqua e sale: legano la vittima a un tavolo e, con un imbuto o con un tubo, gli fanno ingurgitare grandi quantità di acqua salata. La squadra è stata costituita all'indomani dell'uccisione di Moro con un compito preciso. Applicare anche ai detenuti politici quello che fanno tutte le squadre mobili. Ciocia, va precisato, non agì di propria iniziativa. La costituzione della squadretta fu decisa a livello ministeriale. Ciocia, che Umberto Improta soprannomina dottor De Tormentis, un nomignolo che gli resta attaccato per tutta la vita, torna a Verona a gennaio, con i suoi uomini. Il 23 gennaio viene arrestato un fiancheggiatore, Nazareno Mantovani. Iniziamo a interrogarlo noi, lo portiamo all'ultimo piano della questura. Oltre a me ci sono Improta e Fioriolli. Dobbiamo "disarticolarlo", prepararlo per Ciocia. Poi bisogna portarlo da Ciocia in un villino preso in affitto dalla questura. Lo facciamo di notte. Lo carichiamo, bendato, su una macchina insieme a quattro dei nostri. Su un'altra ci sono Ciocia con i suoi uomini, incappucciati. Fioriolli, Improta e io. Una volta arrivati Mantovani viene spogliato, legato mani e piedi e Ciocia inizia il suo lavoro con noi come spettatori. Poi il tubo in gola, l'acqua salatissima. Dopo un quarto d'ora Mantovani sviene e si fermano. Poi riprendono. Mentre lo stanno trattando entra il capo dell'Ucigos, De Francisci. Dopo qualche giorno l'interrogatorio decisivo che ci porterà alla liberazione di Dozier, quello del brigatista Ruggero Volinia e della sua compagna, Elisabetta Arcangeli. Qui, separati da un muro, perché potessero sentirsi ma non vedersi, ci sono Volinia e la Arcangeli. Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Umberto Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. Ha paura per sé ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie. Carico insieme a loro Volinia su una macchina, lo portiamo alla villetta per il trattamento. Lo denudiamo, legato al tavolaccio subisce l'acqua e sale e dopo pochi minuti parla, ci dice dove è tenuto prigioniero il generale Dozier. Il blitz è un successo, prendiamo tutti e cinque i terroristi e li portiamo nella caserma della Celere di Padova. Ciascuno in una stanza, legato alle sedie, bendato, due donne e tre uomini. Tra loro Antonio Savasta che inizierà a parlare quasi subito, e proprio con me, consentendoci di fare centinaia di arresti. Tutti sanno come abbiamo fatto parlare Volinia e scatta l'imitazione, il "mano libera per tutti". Quando scatta l'indagine contro di me e gli altri per il caso Di Lenardo mi faccio vivo con Improta, lui promette, dice di non preoccuparmi, ma solo l'elezione al Parlamento propostami dal Partito socialdemocratico mi toglie dal processo. 05 aprile 2012 - di Pier Vittorio Buffa. http://goo.gl/Uq4rDo